I motivi esplicitamente autobiografici, i temi dell' esilio e della morte, nei sonetti, ci riportano la malinconia dell'Ortis .

DI SE STESSO
Non san chi fui; peri di noi gran parte:
Questo che avanza è sol languore e pianto
E secco è il mirto, e san le foglie sparte
Del lauro, speme al giovenil mio canto;
Perché dal di ch'empia licenza e Marte
Vestivan me del lor sanguineo manto,
Cieca è la mente e guasto il core, ed arte
L'umana strage, arte è in me fatta e vanto,
Che se pur sorge di morir consiglio,
A mia fiera ragion chiudon le porte
Furor di gloria e carità di figlio,
Tal di me schiavo e d'altri e della sorte,
Conosco il meglio ed al peggior m'appiglio,
E so invocare, e non darmi la morte.
A SE STESSO
Che stai? già il secol l'orma ultima lascia;
Dove del tempo san le leggi rotte
Precipita, portando entro la notte
Quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.
Che se vita è l'error, l'ira e l'ambascia,
Troppo hai del viver tuo l'ore prodotte:
Or meglio vivi, e con fatiche dotte
A chi diratti antico esempi lascia.
Figlio infelice e disperato amante,
E senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
Giovine d'anni e rugoso in sembiante,
Che stai? breve è la vita e lunga è l'arte:
A chi altamente oprar non è concesso
Fama tentino almen libere carte.
ALL'ITALIA
Che stai? già il secol l'orma ultima lascia;
Dove del tempo san le leggi rotte
Precipita, portando entro la notte
Quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.
Che se vita è l'error, l'ira e l'ambascia,
Troppo hai del viver tuo l'ore prodotte:
Or meglio vivi, e con fatiche dotte
A chi diratti antico esempi lascia.
Figlio infelice e disperato amante,
E senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
Giovine d'anni e rugoso in sembiante,
Che stai? breve è la vita e lunga è l'arte:
A chi altamente oprar non è concesso
Fama tentino almen libere carte.
ALL'ITALIA
Te nudrice alle Muse, ospite e Dea,
Le barbariche genti che ti han doma
Nomavan tutte, e questo a noi pur fea
Lieve la varia, antiqua, infame soma.
Ché se i tuoi vizj e gli anni e sorte rea
Ti han morto il senno ed il valor di Roma,
In te viveva il gran dir, che avvolgea
Regali allori alla servil tua chioma.
Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste
Reliquie estreme di cotanto impero;
Anzi il toscano tuo parlar celeste
Ognor più stempra nel sermon straniero;
Onde, più che di tua divisa veste,
Sia 'l vincitor di tua barbarie altero.
A FIRENZE
E tu ne' carmi avrai perenne vita,
Sponda ch' Arno saluta in suo cammino,
Partendo la città che del latino
Nome accogliea finor l'ombra fuggita.
Già dal tuo ponte all'onda impaurita
Il papale furore e il ghibellino
Mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino
Del fero Vate la magion s'addita.
Per me cara, felice, inclita riva,
Ove sovente i piè leggiadri mosse
Colei che, vera al portamento Diva,
In me volgeva sue luci beate,
M'entr'io sentia dai crin d'oro commosse
Spirar ambra sia l'aure innamorate.
A SE STESSO
Perché taccia il rumor di mia catena,
Di lagrime, di speme e d'amar vivo
E di silenzio; ché pietà m'affrena,
Se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.
Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
Ove ogni notte Amar seco mi mena:
Qui affido il pianto, e i miei danni descrivo
Qui tutta verso del dolor la piena:
E narro come i grandi occhi ridenti
Arsero d'immortal raggio il mio core;
Come la rosea bocca e i rilucenti
Odorati capelli, ed il candore
Delle divine membra, e i cari accenti
M'insegnarono alfin pianger d'amore.
DI SE STESSO ALL'AMATA
Casi gl'interi giorni in lungo, incerto
Sonno gemo! ma poi quando la bruna
Notte gli astri nel ciel chiama e la luna,
E il freddo aér di mute ombre è coverto;
Dove selva so è il piano e più deserto,
Allor, lento io vagando, ad una ad una
Palpo le piaghe onde la rea fortuna
E amore e il mondo hanno il mio core aperto.
Stanco mi appoggio or al troncon d'un pino,
Ed or prostrato ove strepitan l'onde,
Con le speranze mie parlo e deliro.
Ma per te le mortali ire e il destino
Spesso obbliando, a te, Donna, io sospiro:
Luce degli occhi miei, chi mi t'asconde?
Ugo Foscolo
Letto volte.